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Bienvenue a Madine! | Road to WCC22 #3

Madine è senza dubbio il lago simbolo del Wordl Carp Classic. Ecco il racconto della prima volta di Paolo in pesca al WCC, sempre insieme all’inseparabile Silvio, che vuole rifarsi dall’anno precedente. Speranze (infrante), un paesaggio meraviglioso (diventato mostruoso), un finale amaro. Che è il punto di ripartenza per la campagna di quest’anno…

“Veniteci a prendere, c@**o!!!”.

La versione “a caldo” di questo articoletto dovrebbe proseguire spiegando l’esclamazione sopra. Ma eleganza e ruolo nel negozio per cui lavoro mi impediscono di raccontarla. Quindi ricomincio.

“Madine. Finalmente io e te. Dici che sarò alla tua altezza?”.

Chissà perché tendiamo a essere molto romantici quando ci emozioniamo davanti a un’acqua mitica, ma credo che una roba così la si possa provare solo davanti ad altri due posti: Saint Cassien e la Foresta d’Oriente.

Mi faccio proprio questa domanda guardando il lago, in un tardo pomeriggio di sabato, mentre una leggera pioggia ne accarezza la superficie.

E’ stato un anno tosto, questo: il Covid non ha fatto bene a nessuno, tantomeno a me, che me lo sono beccato forte e mi sono davvero spaventato.

Aspettavo quindi questo momento, come una sorta di liberazione: questi passi sulle sponde del lago simbolo del World Carp Classic le sto vivendo come una medicina. E il medico che me l’ha prescritta è il mio socio Silvio.

Quando me l’ha buttata lì, ci credevo poco. Vuoi perché i posti sono pochi – 106 postazioni sembrano tante, ma la lista d’attesa è lunghissima – vuoi perché dal punto di vista dei soldi da spendere non si parla di una cifretta. Vuoi perché sono papà da pochi mesi e non so se ce la faccio a stare una settimana lontano dalla mia bimba.

Però adesso sono qui.

Siamo partiti il venerdì notte, attraversando la Svizzera – consiglio: mai andare in bagno in un autogrill svizzero, fare pipì costa come un mojito a Porto Cervo – e arrivando in Francia la mattina successiva. Senza mai fermarci.

O meglio: senza mai fermarSI. Silvio si è fatto tutta una tirata alla guida. Bobo varcato il confine era già crollato, io ho aspettato l’alba. Il Ducato stracolmo di attrezzatura non si fermava più.

Rispetto alla mia partecipazione a Bolsena è diverso, perché non sono un semplice assistente. No, pescherò e bagnerò le mie lenze nel mitico Madine.

Ecco perché anche la foto sotto il cartello stradale a poche centinaia di metri dal lago ha un sapore completamente differente. Così come il vedere le bandiere bianche e azzurre del World Carp Classic sventolare all’ingresso del campo base e della già incasinata Bivvy City. Dove il Covid, a dire il vero, sembra non girare perché di mascherine ne vedi davvero poche. Così come ne vedi davvero poche varcato il confine francese…

La mattina del sabato abbiamo subito sbrigato le pratiche burocratiche, ritirando il nostro numero per l’estrazione – noi siamo in numeri 100, quindi ci estrarranno in fondo – compilando tutti i moduli per il Covid e per il regolamento, e poi ci siamo infilati in casetta per dormire.

Non siamo gente da bivvy city, noi milanesi. Ci piace dormire bene!

Al risveglio il sole si sta preparando già per scendere dietro l’orizzonte. E Madine trasuda quella magia che solo i grandi laghi francesi hanno. Sa di carpe. E’ inspiegabile. Ma è così.

Che non fosse un’edizione fortunata forse dovevo capirlo nel momento in cui non ci hanno dato la bilancia della Reuben Heaton – sì, sempre lei – perché la hanno sostituita con una maglia sintetica anti-UV. Bella, per l’amor di Dio, ma non ha la stessa magia del bilancione a orologio, non scherziamo…

E poi dovevamo capirlo ben prima che estraessero la postazione, la 28, in piena Dark Side, cioè quando si sono impappinati e hanno estratto due volte prima una coppia che aveva già ricevuto la postazione, e poi un’altra ancora.

Qui mi fermo (stai calmo Paolino!).

Dai, comunque sono a Madine. Silvio è appoggiato alla portiera del Ducato in cerca di antidepressivi. Io sotto sotto invece vorrei assaggiare il jamon serrano che gli spagnoli stanno mangiando da 2 ore.

E 28 sia!

Indubbiamente, paesaggisticamente la postazione è bella. Siamo dentro un bosco, quello della penisola della Dark Side. Davanti abbiamo l’isola grande, con i relativi carpisti: un bel sandwich di fili e pasture che sicuramente farà piacere ai siluri.

Silvio è ancora in depressione perché, in pratica, è finito esattamente davanti a dove era nell’edizione del 2019: “Ma io dico, postazione di m* per postazione di m*, non potevo finire almeno in un’altra zona?!”.

Io cavalco invece ancora il sentimento della prima volta.

“Questo abbiamo, facciamolo fruttare!”.

E’ domenica. Abbiamo appena trasbordato con due barche stracariche, e dobbiamo aspettare le 13 del giorno dopo anche solo per scandagliare. Avevamo la possibilità anche di trasbordare lunedì mattina ma abbiamo preferito andare prima sullo spot per dormire bene ed essere freschi per l’inizio.

Il lago è di una tranquillità esagerata. Con gli occhiali polarizzati intuisco più o meno che pesca si dovrà fare. Tra gli erbai a corto raggio, di intercetto nella fascia davanti alla grande isola, al di fuori delle erbe.

Sono un po’ impaziente. E finalmente arriva lunedì.

Il razzo sparato dal campeggio decreta l’inizio della gara. E subito si sgomita. Ho a fianco dei carpisti della Repubblica Ceca – se non ricordo male – che forse non capiscono l’inglese, o forse non capiscono il MIO inglese. A tuono escono e sparano un marker di quelli a stecca – che io mi chiedo ancora chi cavolo lì ha inventati, sono la così più fastidiosa che un carpista possa usare, eppure piacciono moltissimo a pescatori dell’est Europa e tedeschi – proprio davanti a noi.

E parte la prima chiamata al Marshall.

Che non riesce a fare praticamente niente.

Capiamo subito che non è facile, che non avremo assistenza, e che dovremo fare del nostro meglio per ritagliarci un fazzoletto.

Piccola parentesi con fast forward: a distanza di due anni molti particolari di questa pescata li ho dimenticati, per cui se ti interessa ti consiglio di andare sul profilo Instagram o Facebook di SportIT Fishing e rivedere tutti i post con i report quotidiani che ho pubblicato. Erano, questo lo ricordo bene, approfonditi, e mostravano tutto quello che stavamo usando e come stavamo pescando.

Per dare focus a questo pezzo posso solo dire che la pescata è partita bene ed è finita malissimo.

Bene perché ho scappottato a Madine con una breme e un siluro, subito. Ed era importante per me perché voleva dire che avevamo attività sotto, quando gli altri non sentivano un bip.

Poi è arrivato il combattimento più entusiasmante che abbia mai vissuto da spettatore. Io che perdo un siluro con Silvio al comando del motore elettrico, Bobo che urla con la canna in mano, la corsa disperata indietro per prenderla.

Sentire un treno che ti porta per il lago, arrivare praticamente a pochi metri da Lee Jackson che pesca sulla sponda opposta, dire “Silvio frena, non esagerare”, e vedere la canna che si spacca in due punti.

L’eco che fa vedere un diavolo lungo sotto la barca, poi la mia mano minuscola dentro la sua bocca, senza guanti perché li ho dimenticati a riva, ma con la manica della felpa di SportIT a tenere salda la presa.

Silvio che ride, ma impreca, perché è un dannato siluro. Un dannato ENORME siluro, che gli ha spaccato la canna.

Poi, però, è un po’ come se questo highlight avesse poi rotto la magia. Perché nel tardo pomeriggio del mercoledì arrivano le prime nuvole.

Con un vento che sale, e sale forte.

Ho un sesto senso dentro di me che mi dice. “Cala”. Ma lo seguo troppo tardi, perché riesco a calarne solo due su tre. Le due più vicine. La terza è troppo pericoloso.

Ecco il vento di cui mi hanno parlato. Ecco l’estate che diventa autunno inoltrato.

Inizia a piovere forte, per tutta notte. Sentiamo le canne bippare, ma c’è talmente tanto vento che non sappiamo nemmeno se sono ancora lì. Una canna di Silvio la troveremo incastrata nel canneto, la mattina.

I banchi di alghe sono stati divelti dal vento, e sono sulle nostre lenze. 4 canne su 6 hanno più di 200 metri di alghe da togliere dal filo.

E puoi avere anche la Power Pro o la Hot Fisher, che tagliano come lame, ma con queste alghe non vinci mai.

La nostra pescata finisce praticamente 2 giorni prima, perché perdiamo troppo tempo per pulire le lenze, e le onde sono troppo alte, non ce la sentiamo di rischiare.

Vediamo diversi carpisti uscire comunque, ma dentro di me prevale il buon senso: ho a casa una bambina di 10 mesi che mi aspetta, non ha senso rischiare così.

Il maltempo dura fino alla fine. Ormai non ci interessa più chi ha vinto e chi ha preso. Vogliamo andare a casa. O almeno al furgone ad asciugarci e a coprire le orecchie dal vento.

Ma non vengono mai a prenderci. E quando lo fanno, a momenti una delle due barche nel trasbordo affonda.

Troppo di tutto, per questa mia prima volta come pescatore.

Di situazioni estreme ne ho vissute, ma una sequenza così non mi capitava da tempo.

Forse sto solo invecchiando, o forse nei mio sogno di carpista mi bastava rivivere quello che avevo vissuto a Bolsena, una pescata più o meno tranquilla (a proposito, hai letto la seconda puntata di questa serie sul World Carp Classic dedicata proprio all’esperienza di Bolsena). Se doveva essere cappotto, che lo fosse, ma senza rischiare la pelle.

E’ per quello che non ne volevo sapere più.

“Per me, il WCC ha chiuso”.

Silvio la pensava uguale. Urlava con la bandiera in mano sferzata dal vento, ed era un urlo arrabbiato, più che deluso.

La spensieratezza della partenza si è trasformata in una delusione cocente, una ferita che non sapevamo quando si sarebbe rimarginata.

Ma è la passione che ci frega.

E’ il tempo che ci cura.

E’ l’amicizia che ci porta a riprovarci.

Sarà quel che sarà. Il nostro primo pesce a Madine, un risultatone, o un altro cappotto sotto la bufera. Tabula rasa, tranne delle cose che ho imparato e di cui parlerò nei prossimi articoli. Ho archiviato il file della Covid edition del 2020 e sono pronto a guardare oltre, a fine settembre 2022.

World Carp Classic, arriviamo. Col naso rosso e le parrucca. Occhio!

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